Fabrizio Franchi, pratese, ha vissuto le varie epoche tessili.
È stato agente di tessiture pratesi per 35 anni. A Carpi e in buona parte dell’Emilia. Nato con il jersey e affermatosi soprattutto con la felpa e il pile. “Non c’è più la conoscenza del tessuto che si aveva un tempo – dice –. Chi va più a vedere la composizione?”
Con Carpi, Fabrizio Franchi, 66enne rappresen-tante pratese di tessuti da poco a riposo e testimone prezioso per capire oggi dove vada la moda, ha condiviso 35 anni anni di vita: un per-corso iniziatosi dopo che l’Emilia l’aveva conosciuta da agente di un’azienda di jersey di Calenzano: «Per il bolognese e per la Romagna – ricorda – la ditta aveva come agente storico il Mazzanti di Bologna. Io invece avevo avuto modo di conoscere questa zona, mi piaceva e mi piacevano le persone, sicché, quando ho cominciato per conto mio nel 1980, aprendo l’ufficio a Prato, ho preso a riferimento Carpi, andando avanti e indietro. Non ci ho mai abitato, ma nel 2004 ho aperto qui un ufficio che mi faceva comodo anche per dormirci, nella brutta stagione. Ero basato qui, ma il mio raggio d’azione andava oltre Carpi, comprendendo anche la Romagna».
Pur ricalcando dunque le orme dei Pratesi – da Roberto Viti della Filte ai Chiti di Firpelane – che hanno fatto successo a Carpi come tintori, la storia di Franchi è rimasta legata al commercio più che alle lavorazioni industriali: «Rappresentavo tessuti ed ero un po’ più addentro a quelli a maglia, perché io sono nato nel jersey – spiega –. I tessuti a navetta li ho acquisiti piano piano negli anni. Per jersey intendo la maglia eseguita sulle monofronture, il tipo di macchina, cioè, che fa il classico tessuto di cotone o di acrilico. Poi c’è la doppia frontura che permette di fare i tessuti più strutturati. Da una decina d’anni, per esempio, è tornato in auge il punto Milano che è maglia doppia su nezza 18 o 20 o 24. Con gli anni si sono affinati i lati e il punto Milano, che ai miei tempi si faceva 70 acrilico e 30 lana, adesso si può eseguire con lati di viscosa o nylon con elastico per cui si adatta molto bene a un jersey simile a un tessuto a navetta per comfort e vestibilità»
E il vantaggio qual è?
«Con questa maglia dai un vestito strutturato a una donna, la vesti. Le ultime giacchette a maglia dei tessuti per uomo sono fatte in punto Milano sia che venga eseguito sulle rettilinee o che sulle circolari»
Nella definizione di jersey si raccolgono comunque molte altre cose…
«Certo: c’è stato anche il tempo della felpa che è durato molto. Carpi ha avuto un ruolo nella felpa, con Best Company e By American. Era fatta a regola d’arte, avendone interpretato benissimo le possibilità e strutturandola come tessuto. La felpa divenne qualche cosa che andava ben oltre il tessutino da maglia, o maglioncino, dando la possibilità di confezionare veri e propri capi, come le gonne. Poi, da lì è venuto lo scopiazzamento da un tessuto americano, il pile»
La storia del tessile a Carpi sembrerebbe quasi scandita dal successo di certi capi o lavorazioni: la coreana, per esempio, poi la felpa, appunto, con i primi anni Ottanta…
«Certo: commercianti e produttori debbono finire le scorte. Se non si elimina la roba vecchia non si ricomincia… A Carpi mi sono insediato proprio con la felpa: avendo produttori di jersey pratesi, noi la felpa l’abbiamo interpretata anche con la lana e con i misti lana. Ricorda Italo confezioni? Ho lavorato con Alfredo Saltini, fornendogli tessuto a lana per felpe fino a quando vendette le sue linee alla Simint di Giorgio Armani»
E dopo la felpa è venuto il pile…
«Ho venduto per vent’anni Pontetorto che resta per me uno dei produttori di pile a livello di eccellenza. Poi si sono messi a farlo tutti, a Prato, ma a certi livelli c’erano solo i lanifici Becagli e Pontetorto. Lo ha fatto anche Carpi, il pile, lo tingeva Viti e anche altri. Era il finissaggio eseguito qui che gli dava qualche cosa in più: era cioè finito bene, grattato bene, cimato bene, tutte lavorazioni che nobilitavano l’articolo. Poi addirittura siamo passati a fare il pile leggero da camicia: era partito come prodotto da montagna, il pile, per poi essere applicato alla camicia leggera con una mano vellutata che ha inaugurato una nuova stagione del pile. Ho lavorato molto con Max Mara e con il Veneto, per il pile. A Carpi invece c’erano soprattutto quelli che facevano berretti, come il Berrettificio Biemme e la Lac. Uno dice: fai cappelli? Consumi poco: ma alla fine erano decine di migliaia di metri di tessuto»
Lei ora è ritornato definitivamente a Prato dove i Cinesi sono entrati a piene mani nel processo produttivo, dando vita a un comparto talmente grande di confezionisti da poter esportare capi in tutta Europa. Sappiamo anche in che condizioni lavorano, ma è solo la manodopera schiavizzata che determina la loro competitività?
«Lei deve sapere che oltre al tessuto importato dalla Cina dai Cinesi stessi, si sono comprati le filature, le circolari, le tintorie. Nei jersey leggeri, da maglietta, sono spariti del tutto i produttori pratesi che li lavoravano e li mandavano a tingere anche da Viti. Con le tintorie che ci sono a Prato, ora gestite dai Cinesi, non c’è più storia. Lo stile? Non è che copiano solamente: hanno le ragazze, le modelliste pratesi che lavorano per loro. Copiano, certo, ma qualcuno di loro si è dato anche belle strutture, perché hanno capito che per stare sul mercato europeo bisognava dare un prodotto un poco più innovativo»
…e a prezzo ultracompetitivo, come si vede sulle bancarelle dei mercati.
«I negozi al dettaglio sono in crisi proprio per questo: nessuna donna si vergogna più di andare a comprare al mercato. Non c’è signora benestante o professionista che non ci vada. Poi, chiaramente, la festa, la cerimonia la fai con il vestito importante. Ma nel quotidiano ci si veste con questo tipo di prodotto, perché non è finita la voglia di cambiare che c’è alla base della moda, ma la donna da Zara e da H&M compra molto di più e fanno grandissimi numeri perché da loro l’occhio viene accontentato: si può cioè variare perché i prezzi ottenuti delocalizzando la produzione lo consentono»
I nostri subfornitori classificano questa fast fashion come robaccia…
«È una cosa consolatoria, perché anche qui, in zona non so… Appena gli porti un bielastico da pantalone bello e di qualità, un tessuto che rende bene e costa 12 euro al metro si fermano davanti all’acquisto. E che cosa comprano? Un poliestere viscosa bielastico da 3 o 3 euro e mezzo al metro che fa comunque la sua figura. Qui abbiamo un esempio: chi è il più forte prontista della zona? È un’importante azienda del reggiano, nelle vicinanze. Loro sono molto forti, finanziariamente: ma mica comprano un tessuto a dieci euro. Comprano parecchia roba già fatta e da fornitore l’ho capito, quando hanno cominciato a dirmi sai, non sei il solo da cui acquistiamo»
L’ha detto lei: la voglia di cambiare che è la molla della moda c’è sempre e forse ancora di più, ma solo il prezzo la asseconda.
«Ma, vede, il tempo dei tessuti buoni apprezzati da noi di una certa età è finito. I giovani di oggi, ma anche i trenta/quarantenni non li conoscono. Non sanno che cosa sia un buon misto lana o un cappotto misto cashmere an- ziché un crêpe di lana. Non c’è la conoscenza, perché se tu vai da H&M e trovi questo poliestere viscosa fatto a velour, che è una grattura che serve per ammorbidire, e lo trovi particolarmente morbido, tu non vai poi a vedere la composizione. Ecco che cosa contraddistingue questo momento storico: l’ignoranza, la non conoscenza di quello che è stato il prodotto buono. E l’Emilia Romagna era bravissima per fare un buon prodotto con buoni tessuti e brava manodopera…»
Si capisce anche da qui il risentimento della filiera locale verso i brand…
«Vedo molto male il futuro per la subfornitura. Il mercato adesso non ce la fa più a pagare, per esempio, dei buoni tagliatori che resistono solo in quanto i Cinesi non vogliono fare quel mestiere lì, perché hanno paura delle responsabilità: se sciupi un materasso così di tessuti, son soldi, invece se tu non cuci bene cento o cinquecento maglie, male che vada te le fanno scucire e ricucire. Le eccellenze, i brand lavorano all’estero: e sopravvivono se riescono a imporre il proprio marchio. Sul piano della qualità, invece, si sta battendo bene Wanda Mode che fa un prodotto elegante che i Cinesi non producono tanto volentieri. Non c’è molto altro. E badi che l’elegante a Carpi c’era eccome e lo si sapeva fare. Perché buoni tessuti e buona creatività non mancavano. Le seconde generazioni hanno invece preferito tirarsi indietro e sono andate a mettere i soldi nel mattone. Le aziende di una volta portavano con sé le lavoranti alle fiere per guardare, acquisire, rubare con gli occhi. Questo alla fin fine è il tessile: ci sarà bisogno dell’idea e della buona intuizione, ma serve anche andare in giro, captare le cose e poi modificarle, senza copiare in modo acritico, ma sapendo adattarti al tuo mercato». (Florio Magnanini)
VOCE, 1 settembre 2016